Sanità in Campania, occorre un cruscotto di orientamento
a proposito della emergenza sanitaria a Napoli.
di Corrado Gabriele
Negli ultimi 20 anni ho svolto funzioni in quattro ruoli importanti rispetto al tema della sanità. Dapprima come assessore in giunta regionale, seppure la mia delega fosse altra – scuola, lavoro e formazione – tuttavia ho potuto seguire “con responsabilità” la programmazione sanitaria regionale, gli atti deliberativi, condividere scelte su aperture e chiusure di ospedali e pronto soccorso, sulla nomina dei manager all’epoca in cui questo avveniva partendo dal meccanismo “intuitu personae” e finiva in “arbitrium politica”.
Altra funzione importante di osservatorio è stata per me poi quella di consigliere regionale di opposizione, potendo così seguire le stesse questioni, non più “con responsabilità diretta” ma con potestà legislativa e di controllo nelle competenti commissioni ed in assemblea regionale.
Tutto questo accadeva tra il 2005 e il 2015.
Posso però affermare senza tema di smentita che la più grande esperienza di conoscenza del segmento sanità in Campania, io l’abbia acquista successivamente. Prima con l’esperienza di cronista radiofonico – che svolgo tuttora anche in televisione – ed il racconto quotidiano di quel mondo. Ricordo quando a fine 2020 in piena seconda ondata, sono entrato con microfono e telecamere nel Covid Center dell’Ospedale del Mare per far parlare medici, infermieri e pazienti in isolamento alle prese con il “male del secolo”.
Poi di lì a poco l’altra esperienza – dolorosissima – vissuta per diverse settimane nelle corsie di degenze e terapia intensiva del Cotugno: stavolta da paziente grave.
Quest’ultima ha significato per me la perdita totale o quasi della capacità di respirare, muoversi, essere indipendente nelle funzioni vitali, e dunque dipendere ed interamente dalla organizzazione dei medici e del personale sanitario ed essere “salvato” dalla struttura ospedaliera, in quel caso il Cotugno di Napoli.
Posso quindi affermare con diversi punti di vista e ragioni, osservando quanto sta accadendo oggi nei pronto soccorso cittadini ed in generale nella sanità a Napoli ed in Campania, che se non ci fosse stata quella rete sanitaria di protezione e cura, per me, e per altre migliaia, centinaia di migliaia, di persone che hanno contratto il virus SARS-CoV-2 oggi non saremmo qui a parlarne. Parto da questa premessa perché possa essere, in una riflessione libera da preconcetti, parte integrante e sostanziale del giudizio di ognuno che approccia al tema della sanità.
Senza la riflessione sulla indispensabilità di avere una rete pubblica di prevenzione, protezione e cura della salute del cittadino, ogni ragionamento risulta del tutto privo di importanza. Oggi per fortuna l’emergenza non è più con lo stesso grado di priorità il Covid, ma è come riorganizzare il servizio sanitario partendo dal presupposto che esso esiste in quanto esistono tre cose fondamentali. I pazienti da curare, le persone su cui attivare prevenzione, la scienza medica che ha sempre più bisogno di studio e ricerca.
E poi c’è il tema della cittadinanza che deve essere ruolo significativo anche quando esercita uno dei suoi diritti fondamentali, quello alla salute.
Mi domando che senso abbia avere decine di strutture di pronto soccorso con tante piccole realtà organizzative e gestionali al vertice, nell’epoca in cui si programma centralmente, si opera sulla base di indicazioni nazionali ed europee in ragione di una disponibilità di risorse economiche senza precedenti e che non potranno ma essere continuative e costanti?
Che senso ha avere più punti di ricerca e studio, università a numero chiuso e però scollegate completamente dal resto della operatività della rete ospedaliera e territoriale?
E infine – e questo è un punto dirimente – che senso abbia dopo la tragica esperienza pandemica avere in regime di convenzione migliaia di medici privati senza che il regime stesso di convenzionamento abbia regole di ingaggio adeguate dal punto di vista dell’accesso dei pazienti al primo e indispensabile segmento di cura e prevenzione che rappresentano i medici di medicina generale, sia dal punto di vista della loro stessa piena operatività e connessione – oserei dire sentimentale nel senso letterale della parola – con il resto del servizio sanitario territoriale e ospedaliero?
Credo non sia più accettabile in sintesi che il paziente non abbia – nel III millennio – immediatamente nel proprio “cruscotto di orientamento alla salute” tutte queste possibilità, anche attraverso elementi di conoscenza e di autoprevenzione diretta e la telemedicina. È dunque compito di chi organizza ed è a capo del SSR far sì che ogni cittadino della Campania possa disporre di tutti gli strumenti utili a orientarsi nella prevenzione delle malattie e nella cura delle stesse senza dover per forza ricorrere ad una “conoscenza”.
Questa sarebbe una Regione pienamente inserita in un contesto europeo, da cui riceve enormi risorse e da cui però ha una quantità di prassi da acquisire e diritti da affermare ancora.
Mi spiego con una domanda: se in famiglia qualcuno ha un problema di salute a chi si rivolge per primo? Quale è il primo keybord key da digitare? La risposta è sempre “…Conosco un tizio che può risolvere la questione”. Questo tipo di conoscenza diretta va bene quando si ha poco tempo a disposizione, ma non va bene in un contesto di opportunità universali e di diritto alla
Salute: e se invece non conosci nessuno come va a finire?
Questa è la sfida da superare, questo è il terreno di confronto su cui la politica scendere nelle sue valutazioni, utilizzando bene tutte le sue prerogative e orientando le scelte. Invece ci troviamo davanti all’ennesimo dibattito – mi perdoneranno i miei ex colleghi della politica istituzionale, inconcludente – perché ancora una volta lègge il fenomeno sulla base dell’epifenomeno, oggi appunto ancora una volta le barelle al P.S. del Cardarelli.
Il commissariamento della nostra sanità è dipeso senz’altro dalla cattiva gestione di decenni, da una debole cinghia di trasmissione di prerogative e risorse tra Stato centrale e Regione Campania, ma anche vorrei dire dal pessimo ruolo di una cittadinanza “connivente” con la politica e sempre pronta a chiedere favori e saltare liste di attesa, dalla stessa classe dirigente che ha interpretato molte stagioni politiche a sinistra come a destra esclusivamente per la costruzione e il mantenimento del consenso, in alcuni casi poi anche per il proprio illecito arricchimento, lasciando una situazione debitoria e organizzativa ai limiti della decenza.
Abbiam voglia a lamentarci di medici che mancano, di risorse che non arrivano, ospedali che chiudono e liste di attese oggi anche nei centri privati, se non partiamo dal concetto che, nessuno escluso, siamo tutti responsabili di quello che oggi è il nostro stato di emergenza.