Il Delukistan e il metodo De Luca
di Domenico Giordano
Al termine di questo voto amministrativo di ottobre che ha interessato ben quattro dei cinque capoluoghi di provincia con una platea di poco più di un milione di aventi diritto, è possibile tranquillamente affermare che se c’è un vincitore assoluto, prim’ancora dei sindaci eletti delle città di Napoli, Salerno, Caserta e Benevento, quello è di certo Vincenzo De Luca.
Le vittorie di Gaetano Manfredi e Vincenzo Napoli, così come quelle di Carlo Marino e di Clemente Mastella sono state, in modo più o meno palese, determinate e condizionate dal peso e dall’influenza che De Luca ha messo in campo al servizio dei singoli candidati a sindacoe, in particolare, della sua strategia espansionistica.
L’inquilino di Palazzo Santa Lucia ha esteso in questi anni il suo radicamento e la sua influenza da quello che un tempo era il Principato Citra verso i possedimenti di Terra di Lavoro, di Napoli e del Principato Ultra, tanto che oggi dopo la recente tornata elettorale questi territori sono politicamente protettorati o semplici provincie di un regno più vasto che è per l’appunto il Delukistan, secondo il fortunato conio dei Figli delle Chiancarelle.
Un regno che a differenza di quanto si è anche detto in questi giorni di analisi del voto non è un fondato affatto su di un metodo politico, ma al contrario trova la sua essenza e la sua metodologia di conquista del consenso esclusivamente nella capacità organizzativa e in quella gestionale. Una capacità che di per sé non è necessariamente un male, anzi, se rimane in taluni confini fisiologici può rappresentare la strada maestra per restituire alla funzione politica quella dote smarrita di arte dell’efficacia che negli ultimi decenni è stata soppianta a favore della sola vacuità ciarliera.
Il lebersraum deluchiano parte da Salerno dove le due liste di emanazione diretta delle volontà del capo, Progressisti per Salerno e Campania Libera incassano dalle urne rispettivamente il 17,60 e il 12,51% trascinando alla vittoria il sindaco uscente e portandosi a casa ben 12 consiglieri sui 22 di maggioranza. Più a nord, invece, all’ombra del Vesuvio la lista Napoli Libera ottiene il 4,60% e due seggi a Palazzo San Giacomo, ma in verità al di là delle percentuali qui la longa manus del presidente della Regione si è vista all’opera più volte in campagna elettorale, come lo scorso 30 settembre quando a sorpresa annuncia lui e non il candidato sindaco che in caso di vittoria il nuovo assessore alla sicurezza e ai vigili urbani sarà l’ex questore Antonio De Jesu, poi come tutti sappiamo nominato la scorsa settimana dal sindaco Manfredi.
A Caserta e a Benevento, invece, la partita si gioca al secondo turno, ma anche in questi due casi, Vincenzo De Luca non fa mancare il suo apporto diretto o con i suoi uomini più fidati, anche rischiando di spaccare a metà il Partito Democratico come è successo proprio in terra sannita. Qui al fianco del sindaco Clemente Mastella si schierano due liste che plasticamente si richiamano al governatore: Sannio Libero che guadagna un seggio a Palazzo Mosti con il 3,36% e la lista Essere Democratici che ne prende due portando in dote alla rielezione del primo cittadino un discreto 5,22%. Ai piedi della Reggia dove il sindaco uscente e presidente dell’Anci Campania cercava la riconferma e dove nel 2018 nel collegio plurinominale è stato eletto alla Camera Piero De Luca, la forza di penetrazione delle truppe deluchiane è stata l’arma in più nelle mani di Carlo Marino per vincere al ballottaggio la resistenza non facile di un agguerrito Gianpiero Zinzi.
Eppure la vera sfida per Vincenzo De Luca non è solo o tanto quella di conquistare una posizione e qualche poltrona in più nei comuni, quanto quella di trasformare la sua attitudine a edificare di volta in volta il miglior cartello elettorale, un aggregato costruito sulla prebenda immediata e futura, in un vero contenitore politico. È qui e non certo nella gestione della cosa pubblica in vista della raccolta delconsenso territoriale l’ostacolo più grande da superare, una sfida forse fino ad oggi sfuggita o sottovalutata allo stesso De Luca e che dopo i successi amministrativi richiede una seria riflessione.
Il Delukistan non sarà mai un partito e rischia seriamente di passare alla storia come un regno senza un’anima, invece potrebbe diventare in una visione nobile uno spazio politico di crescita di classe dirigente, sempreché accetti di dare asilo alla pluralità delle opinioni, soprattutto a quelle che possono essere poco o per nulla ossequiose della linea del Principe.