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Gaza: scappare ma dove?

Gaza: scappare ma dove?

Voci da Gaza, per Repubblica
di RITA BAROUD

L’offensiva terrestre “Carri di Gedeone” è iniziata con intensi attacchi aerei e navali che hanno colpito interi quartieri nella Striscia di Gaza settentrionale, seguiti da un’incursione terrestre a Beit Lahia e Jabalia. Questa guerra non è più un evento temporaneo; è una realtà quotidiana che plasma ogni dettaglio della vita: dalla colazione che non esiste più, al continuo rombo degli aerei sopra la testa fino allo sguardo confuso negli occhi di bambini cresciuti troppo in fretta. Mentre il mondo conta i giorni, i gazawi contano ciò che resta delle loro anime: dall’alba, 66 persone sono state uccise nell’assalto israeliano. «Ieri a Beit Lahia abbiamo vissuto momenti di puro orrore, con le persone che sono fuggite in massa prima ancora dell’alba capendo che qualcosa di terribile stava per accadere», racconta il 21enne Hussam Abu Lashem. «Ho visto uomini portare in braccio i loro figli, donne trascinare coperte e materassi, e persone senza mezzi di trasporto fuggire a piedi. Alcuni hanno preso solo i documenti. Ho sentito qualcuno dire: “Non stiamo scappando, stiamo sopravvivendo” ». Poi aggiunge: «Ciòche fa più male è vedere la propria casa e dirle addio».
Secondo la Mezzaluna Rossa, almeno 35.000 persone sono state sfollate nelle ultime 24 ore, portando il numero totale di sfollati interni a Gaza a oltre 1,4 milioni. L’Ospedale Indonesiano – una delle ultime strutture mediche ancora operative nel nord – è stato costretto a chiudere parzialmente dopo l’ultimo attacco. Gli ospedali da campo affrontano gravi carenze di medicinali, attrezzature e carburante. Un medico descrive così questa cruda realtà: «Non possiamo eseguire interventi chirurgici. I pazienti muoiono dissanguati davanti a noi. Tutto ciò che abbiamo sono bende e preghiere».
Oltre alle bombe e agli attacchi aerei, Israele continua a utilizzare una delle sue tattiche più devastanti: un blocco soffocante sugli aiuti umanitari. Per oltre 75 giorni consecutivi, i camion che trasportano cibo, medicine e carburante non hanno potuto raggiungere le aree più bisognose di Gaza. Lamis Mohammed, 46 anni, madre di quattro figli della zona orientale di Deir al-Balah, descrive il caos: «Da ieri mattina non sappiamo dove andare, ogni minuto cambiamo idea. Partiamo? Restiamo? Prepariamo una borsa? Ce ne andiamo? La casa è piena di ricordi, ma i bombardamenti sono sempre più vicini. Ciò che mi ha scioccato di più è che riuscivo a vedere i carri armati appena oltre il confine. Era come se ci stessero osservando, aspettando che facessimo una mossa». E conclude: «Qui a Deir al-Balah est, le persone sono intrappolate tra due fuochi: la paura di restare e la paura di fuggire».