“Bad Boy”, una vicenda reale tra comicità e dramma
Per la sua qualità, la sua storia e, soprattutto, per i suoi personaggi e il modo in cui è raccontata, la serie israeliana che racconta la storia di Daniel Chen, co-creatore del prodotto, merita di essere guardata.
Il protagonista è un comico di successo che vive in Israele; i sui traguardi attuali sono costantemente minacciati dal trauma irrisolto del suo passato.
È stato per anni rinchiuso in un brutale centro di detenzione giovanile.
“Bad Boy” è, infatti, ispirata ad una vicenda reale, arricchita con un pizzico di ironia e fantasia, che è stata di gran successo in patria ed è ora disponibile su Netflix.
Il protagonista interpreta se stesso da adulto mentre tiene uno dei suoi spettacoli comici direttamente basati sulle proprie esperienze all’interno del sistema di giustizia minorile.
Vi accede da ragazzino di tredici anni, interpretato da Guy Manster, che viene bruscamente strappato alla sua casa dagli agenti penitenziari e gettato nella cupa realtà, simile a una fortezza, di un centro di detenzione giovanile.
Sembrerebbero esserci analogie con “Adolescence” ma il prodotto è molto diverso.
Dean impara rapidamente che il suo umorismo e la sua intelligenza sono strumenti per la sopravvivenza in un ambiente brutale dove ebrei e arabi si scontrano quotidianamente.
Dean forma un legame complesso con Zion Zoro, un compagno di cella considerato dagli altri un misterioso assassino.
Altri personaggi di rilievo di questa storia in otto puntate sono l’elegante ed intelligente direttrice della prigione, l’insegnante di recitazione e, fondamentalmente, la problematica madre con la quale ha un rapporto conflittuale che si risolverá con un colpo di scena.
La particolarità di “Bad Boy” sta nel fatto di essere frutto del racconto di un uomo che ha parlato apertamente delle circostanze che hanno portato alla sua incarcerazione, citando l’essere cresciuto senza padre, una madre non sempre presente e una mancanza di limiti che hanno portato a internamenti sempre più severi. Sorprendentemente, è stato proprio in prigione che ha scoperto la scrittura e la recitazione, trovando una via d’uscita creativa dal modo oscuro nel quale si era impantanato.
Articolo a cura di
Francesco Di Somma