SANITA’, ALLA AOU FEDERICO II DI NAPOLI I PRIMI DUE INTERVENTI AL SUD “SENZA BISTURI” PER INSUFFICIENZA VALVOLA TRICUSPIDE.
Per la prima volta nel Sud Italia, sono stati eseguiti con successo dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli i primi due impianti transcatetere della valvola tricuspide “senza bisturi”.
Si tratta di un risultato medico e tecnologico molto rilevante per la cura di pazienti affetti da insufficienza della valvola tricuspide severa, una malattia cardiaca spesso invalidante per la quale, fino ad oggi, non esistevano alternative terapeutiche nei casi più complessi.
“Questa procedura, altamente specialistica e praticata solo in pochi centri in Italia, prevede l’inserimento di una valvola biologica attraverso la vena femorale, senza la necessità di un intervento chirurgico a cuore aperto – spiega Giovanni Esposito, Direttore del Dipartimento di Scienze cardiovascolari, diagnostica per immagini e rete tempo dipendente delle emergenze cardiovascolari dell’Azienda federiciana e coordinatore del team multidisciplinare che ha eseguito i due interventi innovativi – si tratta dell’unica opzione terapeutica per pazienti ad alto rischio operatorio, esclusi sia dalla chirurgia tradizionale sia da altre tecniche meno invasive”.
L’insufficienza tricuspidalica colpisce fino al 2-3% della popolazione adulta e ha una prevalenza crescente nelle fasce d’età più avanzate. Chiamata anche rigurgito tricuspidalico, è una condizione in cui la valvola tricuspide, che si trova tra l’atrio destro e il ventricolo destro del cuore, non si chiude correttamente durante la contrazione del cuore, permettendo al sangue di rifluire nell’atrio destro.
“Questo reflusso può portare a diversi problemi, tra cui l’aumento della pressione nelle vene e nel fegato, e può causare sintomi come affaticamento, gonfiore alle gambe e difficoltà respiratorie – continua Esposito – la patologia è spesso associata ad altre condizioni croniche e comporta un peggioramento significativo della qualità di vita per la presenza di sintomi invalidanti e la necessità di frequenti ricoveri in ospedale”.
Come tutte le procedure complesse, anche l’innovativa procedura mini-invasiva ha richiesto un’attenta pianificazione e la piena collaborazione di un team multidisciplinare. Oltre al professore Giovanni Esposito, hanno contribuito anche le professoresse Carmen Spaccarotella ed Anna Franzone, le dottoresse Federica Ilardi e Rachele Manzo, l’anestesista dott. Salvatore Meo e il personale tecnico e infermieristico del Laboratorio di Emodinamica.
“Offrire al Sud interventi di alta specializzazione – ha aggiunto Esposito – significa garantire ai pazienti cure d’eccellenza senza costringerli a spostarsi in altre regioni. È un risultato ottenuto grazie a un lavoro di squadra e alla condivisione di competenze”.
Un passo in avanti concreto per migliorare l’accesso alle cure nel Mezzogiorno. Ogni anno, migliaia di pazienti del Sud Italia sono costretti a spostarsi per il trattamento di patologie complesse, con conseguenze economiche e sociali rilevanti.
“In questi anni, ci siamo impegnati ad invertire la rotta della migrazione sanitaria, investendo in tecnologia, formazione e competenze, per costruire un sistema sanitario più equo e vicino alle persone”, sottolinea il Direttore Generale Giuseppe Longo.