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Il valore ritrovato della disobbedienza

Il valore ritrovato della disobbedienza

Gennaro MATINO

“Quando gli onesti tacciono, il potere applaude.” In realtà non ricordo chi l’abbia scritto, ma penso che chiunque fosse aveva davvero ragione. Mimmo Lucano, sindaco di Riace, scelse di non obbedire alla legge che vietava l’accoglienza, lo fece per coscienza. Non per moda, né per sfida. Ma perché credeva che lasciare un essere umano per strada fosse peggio che infrangere un decreto. E per questo fu processato, attaccato, isolato. Aveva trasformato un piccolo paese spopolato in una casa per chi non ne aveva più una. Aveva detto no a un ordine che giudicava disumano. E sì a una visione del mondo che metteva al centro le persone. Non la paura. Non il calcolo. Le persone. Storie come la sua ce ne sono, in piccolo e in grande, anche oggi. Insegnanti che rifiutano di censurare la verità nei programmi scolastici.
Medici che non si piegano alla logica dell’interesse. Funzionari che non firmano atti ingiusti. Sono figure spesso invisibili, ma portano addosso un tratto comune: non si rassegnano.
Non “attaccano il ciuccio dove vuole il padrone”, come si dice a Napoli. Non accettano di essere solo ingranaggi. Sono disobbedienti etici.
Viviamo un tempo in cui l’obbedienza cieca è tornata di moda. Si elogia chi si adatta, chi tace, chi si accomoda. Il dissenso fa paura, la critica disturba, la domanda è vista come minaccia. Il conformismo si maschera da buonsenso. La rassegnazione da prudenza. Ma è proprio ora che la disobbedienza diventa una virtù necessaria.
Non la disobbedienza gridata o distruttiva. Ma quella che nasce dalla coscienza. Che non rompe per il gusto di farlo, ma per custodire qualcosa di più grande. Don Lorenzo Milani, in pieno dopoguerra, scrisse ai cappellani militari una lettera diventata un manifesto: l’obbedienza non è più una virtù. Lo fece per dire che non si può servire la pace restando complici dell’ingiustizia. Per insegnare ai suoi ragazzi di Barbiana che la scuola è politica, che la parola è potere, che stare zitti è già scegliere. Disobbedì alla scuola classista, alla Chiesa muta, allo Stato senza volto.
E lo fece con radicalità evangelica. Con tenerezza ostinata. Nel Vangelo, Gesù è la figura disobbediente per eccellenza. Disobbedisce al sabato per guarire, disobbedisce ai “puri” per stare coi peccatori, disobbedisce ai forti per difendere i piccoli. Non segue il potere, lo interroga. Non si adatta alla norma, la sovverte con misericordia. E alla fine sarà proprio la sua disobbedienza a condurlo alla croce. Perché ha osato dire che il bene conta più del rito, la persona più della regola, l’amore più del codice.
Alexei Navalny, dall’altra parte dell’Europa, è morto in carcere perché ha scelto di non tacere.
Avrebbe potuto restare in esilio, in sicurezza. È tornato in Russia sapendo che l’avrebbero arrestato. E ha continuato a parlare, a scrivere, a denunciare. Il suo corpo ha pagato il prezzo della disobbedienza. Ma la sua voce continua a incrinare il silenzio. Perché chi disobbedisce, se lo fa per amore della verità, non muore mai davvero. In un tempo in cui tutto sembra già scritto, chi disobbedisce apre una crepa nel muro della fatalità. Ricorda che esiste sempre una scelta. Che “si è uomini soltanto se si è disposti a disobbedire”, come scriveva Fromm. La vera decadenza comincia quando smettiamo di credere che si possa cambiare. Quando l’indignazione viene derisa. Quando il coraggio viene tacciato di ingenuità. Disobbedire, oggi, significa anche restare umani. Rifiutare il cinismo travestito da realismo. Dire no alla logica del “così fan tutti”. Difendere la verità anche se costa. È un gesto politico, ma anche spirituale. È la fedeltà a un’idea di giustizia che non si lascia spegnere. Perché se l’obbedienza è il sonno della coscienza, la disobbedienza è il risveglio dell’anima. E chi non si ribella più, in fondo, ha già smesso di credere. Nel Vangelo. Nella democrazia. Persino in sé stesso. Meglio allora disobbedire, che morire accomodati. Meglio una voce stonata, che un coro muto. Meglio un inciampo per scelta, che una vita in ginocchio per paura.