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Lingua italiana, una “voce negra”, quando il razzismo è radicato nei vocaboli

Lingua italiana, una “voce negra”, quando il razzismo è radicato nei vocaboli

Nell’epoca in cui nel mondo della comunicazione si scontrano due eccessi opposti ossia il “politicamente corretto” e le “volgarità sdoganate” stridono, a prescindere, certe espressioni adoperate troppo alla leggera e con scarsa consapevolezza.
Lo spunto alla riflessione sulla lingua italiana e su come essa venga adoperata da personaggi pubblici e professionisti della comunicazione giunge da un episodio televisivo che ha scosso l’opinione pubblica e suscitato battibecchi nel mondo dei social network.
In prima serata su Rai 1 va in onda la trasmissione “Ora o mai più”, condotta da Marco Liorni.
Nella puntata del primo febbraio Donatella Rettore, nel giudicare la performance di Loredana Errore, commenta: “Sembravi quasi una negra“.
Il conduttore è visibilmente imbarazzato e tenta di porre rimedio alla “gaffe”.
La più scossa sembra la concorrente perché, nonostante i complimenti ricevuti dopo la sua esibizione col proprio coach Marco Masini sulle note della canzone “La notte” di Arisa, non può fare a meno di dichiarare: “Sicuramente una voce black, non negra; negra non è una bella parola“.
A parte i dettagli, ciò che colpisce è il vocabolario della nota cantautrice e attrice italiana che, pur volendo fare un elogio, non padroneggia il termine adeguato per esprimere il concetto che vuol snocciolare.
Si tratta di una donna nata nel lontano, ma non remoto, 1955 e che dunque ha raggiunto l’età di 70 anni che, nell’Europa del terzo millennio, non sono poi così tanti considerando la speranza di vita media delle donne in tale continente.
In sintesi non siamo al cospetto dell’ottuagenaria del paesino sperduto di montagna ma di un personaggio del mondo dello spettacolo, ancora desiderosa di mettersi in gioco e, teoricamente al passo col mutar dei tempi.
La parola “negro” viene dall’aggettivo latino “niger, nigra, nigrum” appartenente alla prima classe.
Nell’antica Roma esso significava semplicemente “nero”, “scuro”, “tenebroso”.
L’italiano, come noto, è lingua neolatina e da questo aggettivo sono venute fuori le parole “negro” e “nero” tuttavia le lingue vive sono in costante evoluzione e, dunque, i loro termini assumono diversi valori al cambiar dei tempi e dei contesti.
Quindi, sebbene la sua etimologia e il suo significato originale non siano né dispregiativi né volgari, sotto l’influenza di simili termini in tedesco e, soprattutto in inglese, la parola ha assunto col tempo connotazioni negative e razziste anche nella lingua italiana nonostante se ne trovino occorrenze in opere di Petrarca, Ariosto e Carducci.
Il graduale rifiuto dei termini “negro” e “nigger” da parte della popolazione afroamericana iniziò a prendere forza soprattutto perché tali termini erano nati in epoca schiavista, e di conseguenza associati storicamente alla stessa.
La condanna del termine iniziò negli Stati Uniti all’inizio degli anni Settanta e la graduale censura di esso fu ulteriormente accelerata dalla spinta culturale relativa all’integrazione sociale afroamericana, specialmente nell’arte e nella musica.
Per indicare i popoli di pelle scura quindi, furono ripresi termini quali “persona di colore” o semplicemente nero.
Nel corso degli anni Novanta, il lento e graduale processo di proibizione della parola “negro” fu praticamente completato, e il termine fu considerato offensivo in tutti i paesi del mondo.
Dagli anni Duemila il dibattito prosegue, resta un’ultima espressione insensata da cancellare dalla bocca delle persone che è la ridicola locuzione “di colore”, che a sentirla fa nascere spontanea la domanda: “di quale colore”?
La verità è molto semplice da centrare, basta chiedere ai diretti interessati, essi si definiscono semplicemente neri e così bisogna appellarli senza presunti eufemismi o giri di parole.
Insomma dietro un termine c’è la storia di un popolo vessato nei millenni ed evitare di usarlo è sinonimo di cultura e consapevolezza e va oltre il vuoto rigore dello sciocco “politicamente corretto”.

Articolo a cura di

Francesco Di Somma