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Guerra in Sudan: anche truppe Ucraine e Russe, ma nessuno la racconta. Oltre 20.000 morti e 7 milioni di profughi e sfollati.

Guerra in Sudan: anche truppe Ucraine e Russe, ma nessuno la racconta. Oltre 20.000 morti e 7 milioni di profughi e sfollati.

Tra i profughi affamati della guerra in Darfur dove si scontrano anche Russia e Ucraina

da Repubblica 5.5.24

ANDRÈ (CIAD) — Una bambina sta scavando con un bastone una buca profonda mezzo metro. Data la durezza del terreno desertico, lei e i suoi due fratelli impiegano ore in questo compito. Ne scaveranno altre due, poi trasformeranno uno dei tessuti che le donne usano come abiti in una copertura sotto la quale ripararsi. Hanno appena attraversato la zona desolata che segna la frontiera fra Sudan e Ciad. Fuggono dalla guerra e dalla fame. Intorno a loro, a perdita d’occhio, una distesa di tessuti sotto i quali sopravvivono 150.000 persone, al 90% donne e bambini.
«Ci sono sempre più combattimenti. Hanno ucciso sei membri della mia famiglia. Mio marito l’hanno portato via mesi fa e non ho più saputo niente di lui. In Darfur non c’è niente da mangiare, ma qui nemmeno », spiega Yaya Mohemd, la madre dei bambini, mentre fa bollire un pugno di sorgo – un cereale africano tradizionale – per trasformarlo in qualcosa con cui placare la loro fame. Un sole inclemente batte sulla testa dei rifugiati, la temperatura media è di 43 gradi. Sono sopravvissuti a una pulizia etnica e ora devono resistere alla mancanza di cibo, acqua e servizi igienici. Se i Paesi ricchi non invieranno le risorse necessarie, i sudanesi subiranno la peggiore crisi alimentare che si sia vista da decenni, avverte da mesi l’Onu.
«Quando le Rsf sono arrivate a El Geneina, hanno ucciso uomini e bambini a sangue freddo. Hanno ucciso mio marito davanti ai miei occhi. Le strade erano piene di cadaveri, li mangiavano i cani. Durante la notte, c’era chi rischiava la vita per seppellirli in fosse comuni. Molte donne e bambine sono state violentate davanti a tutti. A quelli che hanno lasciato fuggire hanno fatto promettere che El Geneina non sarà più terra di schiavi, di neri, ma di arabi», spiega Hawa Guma Hamad, sopravvissuta ai massacri di El Geneina, la capitale del Darfur occidentale, dove, secondo le indagini di organizzazioni come Human Rights Watch e agenzie come Reuters, le Rsf hanno ucciso più di 13.000 persone e hanno ampiamente utilizzato la violenza sessuale come arma di guerra. La maggior parte delle vittime, come Yaya e Hawa, è di etnia masalit.Dal genocidio alla pulizia etnica
Negli ultimi cinque anni il Sudan è passato dalla speranza democratica ai peggiori orrori della guerra. Nel2018, otto mesi di proteste hanno determinato la caduta del regime di Omar al-Bashir e la costituzione di un governo di transizione democratica. Dopo due anni di boicottaggi, però, nel 2021 l’esercito ha messo a segno un colpo di stato. E il 15 aprile del 2023, a causa di discordie fra i comandanti per la divisione del potere, fra l’esercito e le milizie arabe (denominate Rsf, Forze di supporto rapido), è scoppiata una guerra a cui si sono uniti altri Paesi, ognuno con i propri interessi. Con l’esercito sono schierati Egitto, Iran, Eritrea e Ucraina. Quest’ultima ha persino dispiegato forze speciali e donato al Sudan droni armati. Dalla parte delle Rsf si sono schierati gli Emirati Arabi Uniti, la Libia orientale controllata dal comandante Khalifa Haftar, Israele e la Russia, tramite i mercenari della Wagner.
Il Sudan ha grandi riserve di oro e di petrolio, ha uno sbocco sul Mar Rosso, strategico per il commercio marittimo internazionale, ed è un ponte fra l’Africa e il Vicino Oriente. Proprio le Rsf, assieme ad altre milizie arabe musulmane, secondo le indagini della Corte internazionale di giustizia stanno perpetrando una pulizia etnica contro i masalit, una popolazione africana nera di religione animista. Lo scontro trova origine nel traffico di schiavi che la maggioranza araba ha praticato per secoli ai danni delle minoranze nere del Sudan, ma anche nel controllo delle ricchezze del territorio.
Nel 2003, stanche delle storiche discriminazioni, le minoranze non arabe diedero il via a un sollevamento armato. Al-Bashir ordinò allora all’esercito, e a quelle che allora si chiamavano milizie Janjaweed, di usare ogni metodo possibile per eliminarle. Il risultato fu lo sterminio di 300.000 persone, per il quale la Corte penale internazionale ha tentato invano di giudicare al-Bashir. Nel gennaio di quest’anno, l’attuale procuratore generale della Corte, Karim Khan, ha accusato l’esercito e le Rsf di crimini di guerra.
Nel frattempo, entrambe le partibloccano l’ingresso ai pochi aiuti umanitari che l’Onu e le Ong tentano di portare in Sudan, e usano la fame come arma di guerra.Collassa il sistema umanitario
Ad appena 27 chilometri da El Geneina e due dalla frontiera, Manhil Gamer si tocca la pancia e si porta una mano alla bocca. Ha fame, e soprattutto hanno fame i suoi figli. Manhil è una delle migliaia di donne che fin dal mattino si sono messe in coda per ricevere il sacco di sorgo e fagioli che il Programma alimentare mondiale, l’agenzia dell’Onu che si occupa del contrasto alla fame, distribuisce ogni mese ai 700.000 rifugiati sudanesi arrivati nell’ultimo anno in Ciad, il quinto Paese più povero del mondo. La guerra in Sudan ha provocato la più grave crisi umanitaria del mondo: più di due milioni di persone si sono rifugiate nei Paesi circostanti, quasi nove milioni sono sfollate in zone più sicure del Paese e in tutto quasi 18 milioni dipendono, per la loro sopravvivenza, dagli aiuti umanitari internazionali. Che non arrivano.
«La situazione è molto critica perché c’è bisogno di molto cibo per molte persone, e il Pam sta affrontando una grossa crisi finanziaria. Lavoriamo mese per mese, senza sapere se il mese successivo riusciremo a fare la distribuzione. Se non la faremo, vedremo moltiplicarsi i casi di malnutrizione e i decessi», spiega durante la distribuzione Vanessa Boi, responsabile della risposta emergenziale del Pam nell’Est del Ciad. La nuova distribuzione è stata resa possibile da una donazione giapponese, ma con razioni ridotte che coprono appena il fabbisogno calorico mensile. In alcune delle distribuzioni si è dovuto eliminare l’olio. I donatori principali, Stati Uniti, Germania e Unione europea, hanno dato priorità alle più vicine crisi dell’Ucraina e di Gaza, nelle quali hanno maggiori interessi.
Per la prima volta dalla sua fondazione, nel 2023 i contributi ottenuti dall’Onu per far fronte a emergenze e carestie sono stati inferiori a quelli dell’anno precedente. Gli avvertimenti si susseguono da mesi: se i Paesi ricchi non forniranno le risorse necessarie per soccorrere i rifugiati e gli sfollati sudanesi, nelle prossime settimane assisteremo alla «peggiore crisi alimentare degli ultimi decenni».
Traduzione di Alessandra Neve