Precarietà, povertà e marginalità: cosa fare?
Stamattina un temporale di riflessioni a seguito dell’ascolto della trasmissione di Radio Napoli Centrale con l’amico e giornalista Corrado Gabriele, Barba&Capelli.news.
Due persone senza dimora trovate senza vita in sette giorni a Napoli. Una a piazza Plebiscito, l’altra in piazza Carità. E questa è la notizia dei giornali.
Dietro, le discussioni degli addetti ai lavori, Istituzioni e privato sociale.
Nel mezzo, io nella trappola del traffico del primo lunedì dopo le feste di Natale, pioggia e vento, mamme e bambini fuori le scuole, il cellulare che già squillava per chissà mai quale urgenza.
L’esperienza da Assessore con delega alle Politiche sociali mi ha condotto a stare sempre molto molto attenta quando si parla di persone senza dimora o, comunque, di persone in difficoltà.
Perché il primo rischio che si corre è la banalizzazione. Il secondo è la ripetizione. Il terzo è la tendenza (anche involontaria) a mantenere immutato uno stato di cose.
La banalizzazione è dietro a questa espressione: quelle persone non vogliono essere aiutate, non tollerano le regole, vogliono restare come stanno. Ragionamenti veri se presi così, ma da approfondire perché a nessuno davvero può piacere vivere buttato al gelo per strada ed esposto a qualsiasi tipo di violenza.
La ripetizione della straordinarietà: il gelo, come il caldo estremo, non possono essere considerati eventi inaspettati: si sa che tra dicembre e marzo arriva il freddo e la programmazione è elemento fondante.
La tendenza all’immutevolezza, quasi come se il capitalismo nelle metropoli ci avesse abituato alla presenza dei senza dimora e ne fosse espressione dirimente.
Credo sia doverosa, inoltre, una puntualizzazione anche semantica, ovvero quali siano la differenza e la relazione tra i termini precarietà, povertà e fragilità. Parole spesso usate in modo alternativo, ma che nei fatti sono enormemente diverse tra loro, e, purtroppo, strettamente correlate. La precarietà è la forma meno evidente della fragilità, quella che la precorre e ne forma i tratti distintivi; la povertà, nelle sue diverse forme, è frutto della precarietà e precorre essa stessa le fragilità; le fragilità sono le forme più estreme, quelle a cui non si dovrebbe proprio arrivare, con servizi, misure e politiche di contrasto e riduzione di precarietà e povertà.
Sono d’accordo, ancora, con Padre Gennaro Matino della Parrocchia Santissima Trinità in Via Tasso sulla necessità di organizzare non solo le strutture ma l’intera catena della solidarietà. Anche il dono, attraverso il volontariato, va in qualche modo disegnato e ricondotto a un sistema organizzato. Ed è altrettanto vero che a Napoli, città che non si gira dall’altra parte, non è il piatto caldo che manca; quello si trova sempre. È la visione del fenomeno che deve essere riorganizzata, cioè dove vuole andare il territorio, verso quale strategia indirizzare i propri sforzi per quella parte di popolazione che non ha più nulla, nemmeno da perdere? Gli sforzi si moltiplicano a questo punto, dovendo fare equilibrismo tra il negazionismo della povertà e i fenomeni di cancellazione delle persone in quanto tali e la solidarietà a tutti i costi che talvolta genera anche – ad esempio – un eccesso di cibo in alcuni quartieri e totale assenza in altri.
Cosa fare? 1) Il fenomeno dei senza dimora non è una questione esclusiva delle Politiche sociali; necessaria la presenza costante e continua di rappresentanti del sistema sanitario, del contrasto alle dipendenze, di mediatori linguistici, di quei soggetti necessari a profilare la persona secondo le sue necessità e non secondo quel che pensiamo noi possa essere utile. 2) Le risorse, in questo momento, sembrano non mancare: aprire un confronto anche nazionale sull’apertura di strutture di accoglienza, anche con il recupero di strutture inutilizzate, e individuare le risorse per la gestione. 3) Regolare il traffico della solidarietà e del volontariato (tempo fa venne approvata una delibera di Giunta a firma mia e di altri Assessori con cui si definì un modello organizzativo di consegna pasti caldi che tenesse in considerazione tutti i luoghi della città e al contempo consentisse pulizia subito dopo e controlli in itinere, così da evitare sovrapposizioni. Il modello partiva da una mappatura sulla presenza del Terzo Settore, sulla calendarizzazione delle consegne, sulle modalità di asporto, ecc. La pandemia, purtroppo, in quel periodo vanificò lo sforzo).
È difficile? Sì, molto, e lo dico da chi è passata attraverso deleghe complicate, gestite anche in un momento complicato come la pandemia. Si può pensare a non dover arrivare a contare i morti? Credo proprio di sì.
Stamattina un temporale di riflessioni a seguito dell’ascolto della trasmissione di Radio Napoli Centrale con l’amico e giornalista Corrado Gabriele, Barba&Capelli.news.
Due persone senza dimora trovate senza vita in sette giorni a Napoli. Una a piazza Plebiscito, l’altra in piazza Carità. E questa è la notizia dei giornali.
Dietro, le discussioni degli addetti ai lavori, Istituzioni e privato sociale.
Nel mezzo, io nella trappola del traffico del primo lunedì dopo le feste di Natale, pioggia e vento, mamme e bambini fuori le scuole, il cellulare che già squillava per chissà mai quale urgenza.
L’esperienza da Assessore con delega alle Politiche sociali mi ha condotto a stare sempre molto molto attenta quando si parla di persone senza dimora o, comunque, di persone in difficoltà.
Perché il primo rischio che si corre è la banalizzazione. Il secondo è la ripetizione. Il terzo è la tendenza (anche involontaria) a mantenere immutato uno stato di cose.
La banalizzazione è dietro a questa espressione: quelle persone non vogliono essere aiutate, non tollerano le regole, vogliono restare come stanno. Ragionamenti veri se presi così, ma da approfondire perché a nessuno davvero può piacere vivere buttato al gelo per strada ed esposto a qualsiasi tipo di violenza.
La ripetizione della straordinarietà: il gelo, come il caldo estremo, non possono essere considerati eventi inaspettati: si sa che tra dicembre e marzo arriva il freddo e la programmazione è elemento fondante.
La tendenza all’immutevolezza, quasi come se il capitalismo nelle metropoli ci avesse abituato alla presenza dei senza dimora e ne fosse espressione dirimente.
Credo sia doverosa, inoltre, una puntualizzazione anche semantica, ovvero quali siano la differenza e la relazione tra i termini precarietà, povertà e fragilità. Parole spesso usate in modo alternativo, ma che nei fatti sono enormemente diverse tra loro, e, purtroppo, strettamente correlate. La precarietà è la forma meno evidente della fragilità, quella che la precorre e ne forma i tratti distintivi; la povertà, nelle sue diverse forme, è frutto della precarietà e precorre essa stessa le fragilità; le fragilità sono le forme più estreme, quelle a cui non si dovrebbe proprio arrivare, con servizi, misure e politiche di contrasto e riduzione di precarietà e povertà.
Sono d’accordo, ancora, con Padre Gennaro Matino della Parrocchia Santissima Trinità in Via Tasso sulla necessità di organizzare non solo le strutture ma l’intera catena della solidarietà. Anche il dono, attraverso il volontariato, va in qualche modo disegnato e ricondotto a un sistema organizzato. Ed è altrettanto vero che a Napoli, città che non si gira dall’altra parte, non è il piatto caldo che manca; quello si trova sempre. È la visione del fenomeno che deve essere riorganizzata, cioè dove vuole andare il territorio, verso quale strategia indirizzare i propri sforzi per quella parte di popolazione che non ha più nulla, nemmeno da perdere? Gli sforzi si moltiplicano a questo punto, dovendo fare equilibrismo tra il negazionismo della povertà e i fenomeni di cancellazione delle persone in quanto tali e la solidarietà a tutti i costi che talvolta genera anche – ad esempio – un eccesso di cibo in alcuni quartieri e totale assenza in altri.
Cosa fare? 1) Il fenomeno dei senza dimora non è una questione esclusiva delle Politiche sociali; necessaria la presenza costante e continua di rappresentanti del sistema sanitario, del contrasto alle dipendenze, di mediatori linguistici, di quei soggetti necessari a profilare la persona secondo le sue necessità e non secondo quel che pensiamo noi possa essere utile. 2) Le risorse, in questo momento, sembrano non mancare: aprire un confronto anche nazionale sull’apertura di strutture di accoglienza, anche con il recupero di strutture inutilizzate, e individuare le risorse per la gestione. 3) Regolare il traffico della solidarietà e del volontariato (tempo fa venne approvata una delibera di Giunta a firma mia e di altri Assessori con cui si definì un modello organizzativo di consegna pasti caldi che tenesse in considerazione tutti i luoghi della città e al contempo consentisse pulizia subito dopo e controlli in itinere, così da evitare sovrapposizioni. Il modello partiva da una mappatura sulla presenza del Terzo Settore, sulla calendarizzazione delle consegne, sulle modalità di asporto, ecc. La pandemia, purtroppo, in quel periodo vanificò lo sforzo).
È difficile? Sì, molto, e lo dico da chi è passata attraverso deleghe complicate, gestite anche in un momento complicato come la pandemia. Si può pensare a non dover arrivare a contare i morti? Credo proprio di sì.