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Le parole per ferire

Le parole per ferire

di Domenico Giordano

 

Uno degli ultimi lavori firmati da Tullio De Mauro, morto il 5 gennaio del 2017, è l’inventario delle parole per ferire, ripreso e condensato nella relazione finale della Commissione parlamentare sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio.

Parole che appartengono alla categoria che va sotto il nome di hatewords, che sono– per riprendere una definizione di Aaron Peckham – termini odiosi che provocano dolore perché sono dispregiativi per natura. Sono le parole peggiori che si possano usare, soprattutto se si appartiene a un gruppo che esercita il potere su un altro”. 

Chissà se Vincenzo De Luca l’ha mai sfogliata quella relazione, però il repertorio linguistico messo in campo nell’ultima diretta di venerdì 7 gennaio sembra pescare a piene mani dalle pagine dell’ex professore emerito della Sapienza che ci ricorda come queste sono parole e “frasi di apparente assoluta innocenza, però feriscono gravemente e vogliono ferire chi le ascolta”. 

A volere essere sinceri, De Luca ha dalla sua un ampio vocabolario incarognito, ideato, messo a punto e perfezionato nella sua trentennale carriera politica, eppure a riascoltare i trentanove minuti e 15 secondi del video in cui preannunziava la scelta di chiudere le scuole campanecontro la volontà del Governo, c’è una concentrazione alquanto insolita di parole scelte oculatamente per ferire, cioè per offendere gratuitamente l’altro e, al contempo, per dare credibilità al proprio ragionamento.

Eccole, elencate senza commento, ma censite con il riferimento cronologico e stralciandole dalle singole frasi:

“c’è sempre qualche scienziato” – 6.29”

“il livello di demenzialità delle misure proposte è al di là di ogni immaginazione” – 7.41”

“abbiamo cose incredibili per la stupidità” – 8.42”

“siamo all’irresponsabilità totale del Governo” – 13.12”

“l’ottusità e l’irresponsabilità della Lega” 13.21” 

“l’irresponsabilità conclamata di Fratelli d’Italia” 13.27”

“volevo adoperare un aggettivo pesante, mi fermo perché c’è il codice penale, ma è vergognoso” 16.32”

“provvedimenti che finiscono per trasformare i nostri bambini in cavie, sull’altare della politica politicante e dell’opportunismo” 18.27”

“chi prende decisioni cervellotiche è nemico della scuola” 19.45”

“che cosa aspetta il governo italiano a decidere…sono cose da manicomio” 23.21”

“rimaniamo il Paese del fare finta” 24.22

“volevo dire una parolaccia che riguardava le anime dei loro antenati” 27.02

“le vittime in questo caso non sono i partiti, né i governi, né i ministri, le vittime sono i nostri bambini più piccoli e le nostre famiglie” 32.25”

“opportunismo insopportabile della Lega” 32.56”

“i patrioti senza maschera che lisciano il pelo ai diffusori del contagio” 33.07”

Come detto, l’abbecedario deluchiano in questi anni ha dato ampia dimostrazione della sua virulenza e della capacità di squarciare il bon ton istituzionale, forzando la neutralità di talune parole all’esigenza dell’offesa e della denigrazione.

Il punto però che Vincenzo De Luca volutamente rinnega ogni qualvolta premette di parlare solo la lingua della verità è che lui si è liberato dai panni di segretario politico oramai da decenni, è da rappresentante istituzionale, ieri della città di Salerno e oggi della Regione Campania, dovrebbe tener insieme doverosamente la pluralità di posizioni, deve uscire dalla gabbia stretta della parte politica e garantire alle differenze di trovare voce, ascolto, dignità e riconoscimento. 

Molto spesso, invece, le impennate lessicali di De Luca hanno annientato il linguaggio istituzionale, la sua funzione educativa e informativa, per prestare il fianco a una ricerca oramai bulimica di polarizzazione del dibattito, che non aiuta più nessuno considerata l’infodemia dilagante che ha condizionato i nostri comportamenti privati e pubblici.