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Maradona e la potenza della fragilità che ha accompagnato intere generazioni

Maradona e la potenza della fragilità che ha accompagnato intere generazioni

Solo una settimana fa parlammo del 40ennale del terremoto che cambiò la storia di Napoli. Questa settimana se ne è andato chi l’ha cambiata in un altro modo: Diego Armando Maradona. Giunto solo 4 anni dopo in una città devastata, umiliata e mortificata dalla speculazione e della guerra di camorra, senza lavoro e con la nuova emigrazione che strappava figli dalla sua terra.

Si è parlato tanto, troppo, ma era inevitabile diventasse un caso mediatico doppio: l’icona, il simbolo che fa discutere, e la città più abusata nel main stream, Napoli. Questa miscela ha prodotto le polemiche di rito, della dicotomia tra uomo e calciatore lanciata per assurgere a esempio morale chi non ha mai pensato di esserlo. O la mobilitazione dei napoletani per una memoria collettiva che attraverso generazioni e strati sociali.

La verità, unica, è lo storytelling di migliaia, milioni di persone che raccontano aneddoti della propria vita con Maradona accanto come fosse un familiare o amico. La potenza di questa vicinanza nelle vicende delle nostre esistenze.

C’è chi come il professore di robotica Bruno Siciliano a Più di così, intervistato da Taisia Raio, racconta come per amor del Napoli e di Diego abbia rinunciato a borse in prestigiose università. Poi chi ricorda come il papà, impiegato al Palargento, ricevette la telefonata di scuse di Diego che pensava di aver perso lì il suo rolex durante una partita di beneficenza. E ancora chi come chi scrive aveva 6-10 anni in quella seconda metà degli anni ’80 e con gli occhi di bambino vedeva in D1OS chi andava contro potere, chi vinceva venendo dal fango, chi aveva il sorriso beffardo contro gli invincibili.

Lo abbiamo amato come uomo e non solo come calciatore. Questo racconta lo storytelling senza filtri di milioni di persone. Se ne facciano una ragione i Cabrini, i Mughini, le Pausini di turno. Appendete la vostra morale da presunti illibati come quadri sulle vostre fragili pareti: la fragilità di chi con la palla ha disegnato opere di calcio e umanità è ciò che più ci ha fatto amore il nostro unico numero 10.

Giuseppe Manzo